
L’assassinio del Commendatore
di Murakami Haruki
L’ultima opera di Murakami, “L’assassinio del Commendatore”, è un viaggio alla scoperta della creazione artistica e della sua fruizione. La sensazione è quella di un vivisezionatore che porta alla luce i meccanismi e le magie che un autore affronta quotidianamente. Parlo di autore in senso generico, racchiudendo con questo termine ogni forma artistica: scrittura, pittura, musica e via discorrendo. Lo fa attraverso l’esplicitazione di uno degli elementi fondanti la creazione artistica: la metafora. Una metafora rappresentata dagli avvenimenti che i protagonisti si trovano ad affrontare. E le metafore che dissemina nel testo per noi lettori.
Ed ecco che i due protagonisti, il pittore (di cui non conosciamo il nome) e la ragazzina, Akikawa Marie, di cui farà un ritratto che non completerà, diventano rispettivamente l’autore e il fruitore di qualsiasi opera d’arte. Vivono, infatti, nel momento topico del romanzo, due viaggi paralleli seppur separati nello spazio, ma strettamente legati l’uno all’altro. Viaggi che diventano essi stessi metafora dello stretto e misterioso rapporto che lega autore e fruitore all’opera d’arte. Una attiva (da parte dell’autore), l’altra inizialmente passiva (fruitore), ma che poi si trasforma in un’azione differente.
Perché questo processo sia ben rappresentato, il pittore protagonista sente che alcuni quadri non possono essere portati a termine. Soprattutto il quadro di Akikawa Marie, come se il significato definitivo non potesse metterlo l’autore, ma Marie stessa (l’osservatrice). E ancora, poiché la creazione artistica scava in profondità nell’anima e nell’inconscio dell’autore, portando alla luce i turbamenti e le paure incoffessate a noi stessi, anche altri quadri devono essere lasciati incompleti. Ecco che lo stesso ritratto che il protagonista dipinge a Menshiki, personaggio affascinante e misterioso, resta incompleto. Benché lo stesso Menshiki, da fruitore, riconosce la propria essenza nel dipinto. Oppure il quadro de L’uomo con la Subaru Forester bianca, semplicemente tratteggiato, ma spaventoso da ultimare, per motivi indecifrabili allo stesso autore.
Il romanzo stesso, finisce lasciando avvolte nella nebbia tante cose, tanti semi narrativi falsamente conclusi. Finita la lettura, infatti, ho ripreso il primo volume per leggere l’inizio. Ricordavo che al pittore faceva visita l’uomo senza volto con la richiesta del ritratto promesso. In realtà il ritratto era stato sostituito dal piccolo pinguino di plastica durante il viaggio nel mondo delle metafore. Non viene spiegata questa richiesta per tutto il resto del libro. E poi, che richiesta? Un ritratto a un uomo senza volto, un ossimoro per definizione.
L’assassinio del Commandatore sembra assumere quasi il significato di testamento spirituale e artistico di Haruki Murakami, per la profondità e la semplicità, uniti a una maestria stilistica impressionante.